Fisiologia del gusto
Il gusto non è certo il primo dei sensi, più importanti sono la vista che permette la visione delle bellezze del mondo, l’udito che consente l’ascolto della parola e della musica, il tatto che favorisce la percezione dell’oggetto. Il gusto non è né meno né più importante dell’odorato che consente di percepire il profumo delle essenze e dei fiori. Un altro sesto senso altrettanto importante è quello che avvicina i due sessi per il fine della riproduzione: è il senso definito da B. Savarin il senso genesico o dell’amore.
Tutti i sensi sono parte integrante dell’essere umano e tutti hanno in comune l’anima; per questo sono tra loro riflessi, comparati, apprezzati e si aiutano reciprocamente. “Così il tatto ha corretto gli errori della vista: il suono per mezzo della parola articolata, è diventato l’interprete di tutti i sentimenti: il gusto si giovò della vista e dell’odorato: l’udito comparò i suoni e misurò le distanze : e il genesico invase gli organi di tutti gli altri sensi” (M. I – P. 48).
A spiegare tutto questo è Anthelme Brillat-Savarin (1755-1826) – scrittore, giurista e consigliere alla Corte di cassazione francese – nel saggio “Fisiologia del gusto”.
Concludendo, Fisiologia del gusto invita alla meditazione di una gastronomia trascendente, come specifica il sottotitolo del libro. Divagando liberamente in modo simpatico e ironico sulla gastronomia, B. Savarin la “intellettualizza” e mette in risalto i principi che la distinguono, che influenzano i sensi particolarmente del gusto, il piacere della tavola, dell’appetito, del saper mangiare e della digestione.
L’intero scritto è una lettura indubbiamente piacevole e rilassante, ricca di ricordi, aneddoti e aforismi. Secondo Honoré de Balzac che ha scritto la nota introduttiva, tutto il contenuto è espresso con “stile puro, conciso, leggero, pittoresco ma soprattutto limpido e ridente come del vino vecchio nel cristallo colorato. […]
La scienza di cui emette gli oracoli è la fisiologia; i suoi capitoli sono meditazioni, la sua gastronomia è una gastronomia trascendente, i suoi precetti sono aforismi: vero decalogo dei ghiottoni, irrefutabile come le leggi di Keplero!” (M. I – P. 48).
Il libro di B. Savarin è davvero piacevole; non è un libro di cucina ma li precede e li sostituisce tutti poiché insegna come si deve mangiare.
Gli scopi che intende raggiungere sono due: primo, porre le basi teoriche della gastronomia affinché essa possa essere collocata tra le scienze; secondo, definire ciò che si deve intendere per buongusto e buongustaio, separandoli nettamente dalla ghiottoneria e dalla smoderatezza.
Il libro è stato elaborato “pezzetto a pezzetto” come ha scritto Honoré de Balzac o come asserisce lo stesso autore, “lentamente perché una parte del mio tempo è dedicata a lavori più seri.”
Concludendo, Fisiologia del gusto invita alla meditazione di una gastronomia trascendente come specifica il sottotitolo del libro e il contenuto dei trenta capitoli che formano la prima parte.
La gastronomia di Brillat-Savarin
Nel vocabolario la gastronomia è definita l’arte della cucina, il complesso delle regole e delle usanze relative alla preparazione dei cibi; per B. Savarin invece è la conoscenza ragionata di tutto ciò che si riferisce all’uomo in quanto essere che si nutre: storia naturale, geografia, commercio, fisica, chimica, cucina, economia politica e sociologia. Non solo, il fine è di vigilare sulla conservazione dell’uomo per mezzo della miglior nutrizione possibile.
La gastronomia non riguarda dunque solo la soddisfazione del gusto come insegnano i numerosi programmi e concorsi culinari promossi dai mezzi di informazione, ma deve interessare anche la salute e il benessere psicofisico individuale e sociale.
Secondo Roland Barthes, saggista francese vissuto nel secolo scorso, l’uomo per sopravvivere ha bisogno di procreare e di mangiare, ma l’appagamento di questi due bisogni non basta e commenta:
“L’uomo che mette in scena, per così dire, il lusso del desiderio amoroso o gastronomico che sia …
Il garbo dello stile, il tono mondano degli aneddoti e l’aggraziata futilità delle descrizioni, spiegano la grande avventura del desiderio.
Roland Barthes non tralascia comunque di sottolineare che la perversione gastronomica descritta da Brillat-Savarin implica sempre una specie di confessione amabile e garbatamente compiacente che non valica mai i limiti del bon ton” (R. B. – Brillat-Savarin letto da Roland Barthes).
Il piacere del mangiare non coincide con il piacere della tavola (op. ct. M. XIV). Il primo è comune a tutti gli animali, il secondo è comune alla specie umana.
La sazietà e il costante godimento del gusto sono vicini alla voluttà, separano il bene dal male, trasformano l’ordine in disordine. Il gozzovigliare porta alla lussuria, all’eccitazione dei sensi e contrasta con la salute e la morale.
Il piacere della tavola è invece indice di convivialità, partecipazione, conversazione che diventa godimento, distensione, piacere della vista, del mangiare insieme e insignificanza della sazietà.
Il latinista e scrittore veronese Cesare Marchi, giornalista e personaggio televisivo, ha scritto: “A tavola, nel corso dei secoli, sono accadute cose molto importanti per la storia, ora maiuscola ora minima,dell’umanità. Per esempio, senza l’arte del convitare non esisterebbe quell’altra arte che ha il compito di prevenire le guerre: la diplomazia. E un buon diplomatico a banchetto spesso giova alla sua patria, meglio d’un generale sul campo di battaglia” (C. M. – Quando siamo a tavola – P. 138).
Il cibo è cultura perché trasforma e partecipa all’evoluzione umana. A tavola l’uomo soddisfa il bisogno, si nutre e socializza. Dalla conversazione, dal confronto nascono le regole di vita comprese quelle alimentari non restrittive ma costruttive che avvicinano l’uomo alla Natura e danno forma alla gastronomia.
Ancora una volta Brillat-Savarin precisa: “L’anima è impressionata solo attraverso gli organi che le sono sottoposti e che la mettono in relazione con gli oggetti esterni: da ciò consegue che quando tali organi sono mal conservati, male alimentati oppure irritati, questo stato di imperfezione esercita un influsso necessario sulle sensazioni, che sono gli intermediari e i motori delle operazioni intellettuali” (M. XVI – P. 190).
Da questa meditazione Roland Barthes porta a considerare l’ideale femminile descritto da B. Savarin con “garbato edonismo” che la donna non dimentica il cibo, non la si vede a mangiare “il suo è un corpo glorioso, purificato da ogni bisogno. Mitologicamente, il cibo è una faccenda da uomini; la donna vi partecipa solo in qualità di cuoca o di ancella; prepara o serve, ma non mangia” (op. cit. – M. XIV).
Gusto e digestione
Alla base della gastronomia sta il gusto, alimentato dalla vista e dall’odorato. L’odorato e il gusto formano un solo senso; prova è che se si chiude il naso la sensazione del gusto non è completa. Ecco perché la Fisiologia del gusto si sofferma su l’osmazoma (M.V – P.81).
L’osmazoma è una specie di alcool, la parte saporosa presente nelle carni rosse e frolle. Solubile in acqua fredda, si distingue dalla parte interna contenente le parti nutritive, solubili invece in acqua bollente.
Per questo B. Savarin condanna il lesso ma non il brodo, perché la carne bollita perde il suo sapore più importante, ossia l’osmazoma.
In ogni caso il piacere del gusto deve sempre tenersi lontano dagli eccessi del bere e del mangiare che alterano gli equilibri organici e rovinano le digestioni. “Coloro che fanno indigestione o si ubriacano non sanno né bere né mangiare”, questo è uno dei venti aforismi riportati nel libro di Brillat Savarin.
La digestione
Mangiare abusando del sapore del cibo o con disordine si rovinano le digestioni ed è amorale. Trattando l’Etica, Roland Barthes riporta la regola classica: “Non c’è arte senza costrizione, non c’è piacere senza ordine; la seconda è ben nota alla morale della Colpa, è il discernimento che permette di separare sottilmente il Bene dal Male” (op. ct. XX).
Molto spesso gli eccessi gustativi aprono la strada ai problemi della digestione.
La digestione è la funzione che più influisce sulle condizioni morali dell’individuo; il modo con cui avviene può renderci tristi, allegri, taciturni, ciarlieri, tetri o malinconici, senza che ce ne accorgiamo e senza poter porre rimedio.
L’uomo in attività o a riposo, durante il sonno o il sogno è sempre sotto la forza delle leggi della nutrizione.
Con la malnutrizione non si non può star bene. Brillat-Savarin lo sa benissimo e per questo elabora il suo libro riprendendo il vecchio adagio: “Non si vive di ciò che si mangia, ma di ciò che si digerisce”. Una massima che cento anni dopo per Manuel Lezaeta Acharan diventa: “L’uomo si nutre con quello che digerisce, non con quello che mangia”.
Il nuovo detto, pur sembrando un gioco di parole, sembra dire la stessa cosa, ma in realtà cambiano due parole: “vive” cambia con “nutre”. La differenza non è trascurabile perché si può vivere bene mangiando bene con buone digestioni o vivere male mangiando male con il susseguirsi di indigestioni. Lezaeta dà la priorità alla funzione digestiva per realizzare la salute integrale (corpo, mente e spirito). B. Savarin, invece, mette in risalto l’importanza della conoscenza del vivere e l’educazione al mangiare.
In tutti i casi questi due naturalisti concordano nel ritenere la crescita morale individuale in netta contrapposizione con lo sfogo ai sensi del piacere.
Concludendo il benessere o il sentirsi bene del singolo dipende solo dalla sua volontà, ossia dal lavoro interiore che saprà compiere per il suo buon vivere.
Comportamento alimentare
Billat-Savarin nella Fisiologia del gusto non trascura gli obesi ed elenca alcune semplici regole dietetiche per la buona salute (M. XXII). La premessa è assai lusinghiera: “Traccerò la vostra dieta e vi proverò che alcune delizie vi aspettano ancora su questa terra ove si vive per mangiare” (op. ct. P – 227). Ecco una sintesi a suo dire valida per tutti:
– sobrietà nel mangiare; moderazione nel sonno; moto a piedi, altrimenti non si arriva allo scopo;
– vi piace il pane? Mangiate pane di segale;
– vi piace la minestra? Prendetela alla Julienne con legumi verdi, col cavolo, con le radici; vi proibiscono pane, pasta, purea;
– concedetevi un riso con le rigaglie o la crosta dei pasticci caldi;
– mangiate con circospezione, per non soddisfare subito un appetito che più tardi non sentireste più;
– evitate i farinacei sotto qualunque forma. Al loro posto servitevi l’arrosto, l’insalata, gli ortaggi;
– a fine-di-tavola non prendete biscotti, o pasticcini rivolgetevi alla frutta d’ogni specie;
– dopo il pranzo vi consiglio il tè;
– a mattino fare la colazione tardi succede che il pranzo si fa prima che sia compiuta la digestione. Mangiare senza appetito è causa di obesità.
Non c’è dubbio che anche queste raccomandazioni provocano altri commenti. La storia del mangiare, delle diete, di ciò che si deve o non si deve mangiare non ha fine e il piacere della tavola e il gusto la rendono ancor più confusa e ingarbugliata. /Armido Chiomento
armidochiomento@gmail.com