Ancora una volta ringrazio Antonio della domanda che domenica scorsa 1 dicembre a Nonantola, mi ha rivolto sul cibo cotto. Come promesso ecco le mie altre considerazioni.
Il cibo tra cultura e necessità
Mangiare osservando i principi dell’alimentazione naturale, semplice e frugale non è cosa molto gradita a cuochi, chef o a qualunque altra persona addetta a preparare i pasti. I cucinieri non amano sovvertire troppo gli insegnamenti appresi durante la loro formazione e dall’esperienza lavorativa. Chi cucina non ama troppe costrizioni, vuole essere libero per liberare la propria fantasia, adottare i personali accorgimenti e segreti, volti naturalmente a soddisfare il gusto e il piacere del mangiare dei suoi commensali.
Ho ancora ricordi del compianto Sergio Angeloni, famoso chef di un rinomato locale marchigiano: gli spaghetti presentati a forma di cigno, le lumachine composte da alici e olive e tante altre meravigliose composizioni portate a tavola e presentate nelle fotografie appese alle pareti del locale. Anche un semplice centrifugato di carota aveva un particolare che lo distingueva ed esaltava il gusto della bevanda.
La grande cucina è un’arte, come lo sono la musica, la pittura e la scultura. Non c’è dubbio però che anche l’arte ha le sue regole, non ha schemi rigidi o restrizioni. L’espressione artistica è libera, piuttosto capricciosa, può essere favorevole alla tecnologia, nel caso della cucina, ad esempio, per migliorare la preparazione, la cottura o la conservazione del cibo.
Lo chef o il cuoco si rispecchia nella ricetta che interpreta; basta una indicazione, una guida o una idea per liberare l’estro personale, personalizzazioni comunque che rischiano di alterare l’integrità del cibo e dunque le sue specifiche proprietà nutritive.
La cottura
La preparazione del cibo cotto interessa soprattutto il buongustaio e chi ama molto mangiare.
Se un tempo l’alta ristorazione interessava pochi appassionati, oggi coloro che la desiderano e la amano sono la maggioranza e si dimostra in continuo aumento. Aumenta l’interesse del gusto e diminuisce l’attenzione verso il cibo genuino e sano portatore di salute.
Delle virtuosità culinarie si sente parlare e commentare quotidianamente ovunque; giornali, riviste, programmi radio e televisivi riservano rubriche e noiosissime trasmissioni sull’argomento. Le persone interessate o che seguono questo genere di programmi si appassionano sempre più e di continuo altre si accostano. Per quanto possa sembrare inverosimile le persone meno interessate sono le più motivate e attente a conoscere le proprietà del cibo e i modi migliori di trattarlo. La ricerca del buon mangiare non è la stessa cosa del saper mangiare. Il piacere del gusto non s’accorda col benessere psicofisico.
Spesso la malattia chiama in causa proprio il cibo, la quantità, la qualità, i modi di prepararlo e assumerlo. L’attenzione sul cibo dovrà essere ancora più vigile nella malattia, durante il percorso di recupero della salute. Un’alimentazione povera o di basso costo può essere ricca di nutrienti, come un’alimentazione ricca, ben preparata e desiderata può essere povera, insignificante o scarsa di valore nutrizionale. Certo, non si può trascurare il detto che anche l’occhio vuole la sua parte: ciò è vero salvo però non si comprometta la salute. Anche con pochi alimenti se ben preparati si può far coesistere il gusto con la salute.
Modi di cottura
I primi recipienti che hanno permesso la cottura dei cibi resistenti al fuoco e impermeabili all’acqua sono state le pignatte di terracotta. Con queste le popolazioni primitive preparavano zuppe, minestre in brodo e carni bollite.
Con le scoperte del metallo e l’evoluzione culturale dell’uomo anche gli utensili da cucina sono cambiati e conseguentemente i modi di cottura. Oggi, i materiali maggiormente impiegati per questi usi sono l’alluminio, l’acciaio inox, vetro pirex e la ceramica.
La cottura si effettua mediante bollitura, a vapore, a pressione, con forni elettrici o a microonde.
Bollitura
La cottura in acqua è uno dei metodi più antichi; è possibile in qualunque liquido, ma in genere avviene in acqua. Il cibo si mette nell’acqua ancora fredda o quando questa è in ebollizione, secondo la specie e le caratteristiche dell’alimento che si vuol cuocere (carne, ortaggi, verdure, ecc.).
Il tempo di cottura dipende dalla pressione atmosferica: se a livello del mare l’acqua bolle a 100° C mentre in montagna essendo minore la pressione atmosferica che esercita sulla superficie dell’acqua, l’ebollizione avviene qualche grado prima; per contro però, si allungano i tempi di cottura. Se al mare, ad esempio, le patate cuociono in 40 minuti in montagna impiegheranno qualche minuto in più.
Il cibo in ebollizione nei primi trenta minuti perde una buona parte di sali minerali e vitamine. Passano all’acqua i primi sali e le vitamine idrosolubili (sodio, potassio e vitamine del gruppo B); difficile è invece il passaggio delle proteine. Tutto dipende dal grado di filtrazione dei costituenti del cibo. Pertanto, per fare un buon brodo di carne necessiterà una lunga ebollizione, un’ora e più; mentre nel caso vegetale per preparare un brodo saporito e nutriente sono sufficientio 30-40 minuti (la presenza proteica nelle verdure è insignificante e la filtrazione dei costituenti solubili migliore).
Cottura a vapore
La cottura a vapore avviene a una temperatura più bassa della precedente e pertanto è più salutare. La cottura a temperatura elevata altera le proprietà del cibo e lo rende meno adatto alla nostra natura e di conseguenza più lunga e laboriosa sarà la digestione. Cuocere le vivande a bassa temperatura non modifica invece le caratteristiche dei cibi e il sapore rimane pressoché intatto; inoltre non avviene la dispersione delle sostanze nutritive e minime saranno le perdite di vitamine e minerali rispetto alla bollitura e la cottura a secco.
Cottura a secco
La cottura a secco avviene quando il cibo si trova a diretto contatto col calore. I sistemi più usati per questo tipo di cottura sono quelli al forno o alle altre esposizioni dirette (sole, spiedo, piastra, ecc.).
Nella cottura a secco avviene la disidratazione, il succo che evapora tende a fermarsi sulla superficie del prodotto dove se non c’è sgocciolamento, cristallizza con i sali.
Le perdite vitaminiche, quelle del gruppo B (B1, B2, B3, B5) che si aggirano attorno al 70-80%, influenzano i vari metabolismi e il sistema cardiocircolatorio.
La digestione del cibo cotto a secco dipende ( più d’ogni altro) dal contenuto di grassi e dal tipo di fibra della sostanza in cottura. Le proteine per essere elaborate hanno bisogno di sostare un lungo tempo nello stomaco il quale si allunga in presenza di grassi (5-6 ore per carni e formaggi).
Con la cottura a calore secco, specie quando l’alimento è a contatto diretto con il fuoco (spiedo, griglia o piastra), è sconveniente irrorarlo o ungerlo con olio o altri grassi. Le sostanze lipidiche nella cottura a secco servono indubbiamente a conservare la morbidezza e a migliorare il gusto dell’alimento, ma in questi casi occorre evitare di andare oltre il punto di fumo del grasso aggiunto. (Il punto di fumo di un grasso rappresenta il limite di resistenza alle alte temperature del prodotto, ossia quando il grasso è sottoposto a calore eccessivo, produce fumo, si decompongono le sostanze grasse e si ha la trasformazione del glicerolo in acroleina, sostanza altamente tossica per il fegato e irritante per le mucose dell’organismo, potenzialmente cancerogena).
Nel trattamento culinario le proteine alle alte temperature subiscono una trasformazione conosciuta come denaturazione o alterazione della struttura. Più alta è la temperatura più veloce sarà la denaturazione, riconoscibile dal cambiamento di colore della sostanza (un esempio evidente nel cambiamento di stato e di colore è l’albume d’uovo durante la cottura), indice della diminuzione del valore biologico dell’alimento.
Altri modi che procurano l’alterazione strutturale delle proteine sono l’aggiunta di solventi organici (alcol, acetone) o lo sbattimento fino a formare la schiuma.
La reazione di colore prodotta dal calore produce l’imbrunimento superficiale delle sostanze (v. arrosti, la “crosticina” dei prodotti da forno, biscotti, tostature, ecc.,) ed è conosciuta come reazione di Maillard (nome della persona che per primo ha descritto il processo). Sostanzialmente si tratta di una reazione chimica molto complessa e varia a seconda della sostanza in cui avviene.
Le reazioni chimiche prodotte durante la formazione dell’imbrunimento non sembrano però ancora del tutto chiare. Si sa comunque che accelerano l’imbrunimento quando il pH è basso (2,5-3,5) e quando la temperatura è elevata.
Concludendo
Tra tutte le manipolazioni e le lavorazioni del cibo in cucina, la cottura è quella che più d’ogni altra dimostra le sue conseguenze. Con la cottura il cibo perde la sua naturalità, le proprietà nutritive e le caratteristiche digestive.
L’alimento cotto non è lo stesso di quello crudo. La cottura non produce solo cambiamento di colore, ma altera anche il sapore e la struttura.
Con il calore si producono nel prodotto delle modificazioni chimiche e fisiche che lo danneggiano. In definitiva, qualunque sia la tecnica culinaria applicata, la mescolanza con altre vivande o l’aggiunta di ingredienti per esaltare il profumo o il sapore, inevitabilmente compromettono la freschezza e le caratteristiche organolettiche e nutritive del cibo.
Grazie ancora all’amico nonantolese. (5-12- 19)
armidochiomento@gmail.com