L’UOMO E IL SUO PIANETA

Noi non dobbiamo salvare il Pianeta, ma noi stessi. Il Pianeta ha cinque miliardi di anni, ha grandi animali da mezzo miliardo di anni, è sopravissuto alla caduta di asteroidi e altri cambiamenti climatici. Quindi io non credo che il pianeta sia in pericolo, ma noi lo siamo. […] Serve un mondo più equo e sostenibile. (Giacomo Talignani, La Repubblica 16/11/21)”.

Sono più di cinquant’anni che la scienza conosce queste previsioni, tutti siamo stati informati e temiamo il peggio. Solo i governi e i governanti del mondo lo ignorano.

Ora, crediamo ancora possibile una svolta verde? Temiamo proprio di no.

Negli anni, sessanta-settanta, solo gli osservatori più realisti creduto alle previsioni del MIT (Massachusetts Istitute of Technology).

In un clima di sviluppo e benessere, il pensiero comune non è mai quello di mettere in discussione i comportamenti di vita di una parte della popolazione mondiale. Eppure già allora i fattori responsabili del degrado ambientale e morale dell’uomo  c’erano tutti.

Aurelio Peccei, dirigente industriale, fondatore e presidente del Club di Roma, affinché l’umanità intera non venisse travolta, riteneva necessaria e indispensabile “una vera rivoluzione umana, un cambiamento radicale di mentalità e di atteggiamenti”.

La scienza e  la tecnologia avrebbero dovuto operare verso un sviluppo diverso, rivolto più all’uomo e meno alle cose delle apparenze. Allo sviluppo umano si è preferito la salvaguardia degli interessi economici e di casta, i viaggi spaziali e le tecnologie del superfluo, ma non una coraggiosa progettazione del futuro. I governanti e i potenti del mondo hanno continuato nella salvaguardia dei loro interessi personali e di casta, senza comprendere e risolvere la gravità dei problemi dell’umanità (uguaglianza, superamento della povertà, sfruttamento delle risorse e consumi). Governi e governanti in questi decenni hanno mostrato tutta la loro incapacità, noncuranza e mancanza di forza morale. Il problema del cambiamento climatico ha ormai sessant’anni.

Syukuro Manabe, insignito del premio Nobel per la fisica con Giorgio Parisi e Klaus Hasselmann, aveva dimostrato già a quel tempo come un aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera porti a un aumento delle temperature.

Senza una forte ventata di opinione pubblica mondiale, alimentata a sua volta dai segmenti più creativi della società – i giovani e l’’intellighenzia’ artistica, intellettuale, scientifica, manageriale – la classe politica continuerà in ogni paese a restare in ritardo sui tempi, prigioniera del corto termine e d’interessi settoriali o locali, e le istituzioni politiche, già attualmente sclerotiche, inadeguate e ciononpertanto tendenti a perpetuarsi, finiranno per soccombere.

Queste le parole di Aurelio Peccei riportate nella presentazione del primo rapporto del MIT I limiti del sviluppo per il progetto del Club di Roma sui dilemmi dell’umanità. La ventata di opinione non c’è stata ne poteva esserci senza il succedersi di classi politiche interessate a promuovere lo sviluppo dell’intera comunità umana.

In verità negli anni Settanta a sostegno delle previsioni del MIT si sono costituiti interessanti gruppi di opinione: “Migliaia di commenti, di critiche, di adesioni e di suggerimenti sono apparsi su giornali, riviste e pubblicazioni di ogni genere, o sono stati trasmessi dalla radio e dalla TV in un arco sempre più vasto di paesi; centinaia di conferenze sono state indette su questi argomenti; decine d’indagini e di studi sono stati intrapresi per approfondire, validare o correggere la ricerca originale del MIT. Da questo confuso travaglio emerge una più precisa presa di coscienza che urgono visioni e approcci radicalmente nuovi per affrontare la problematica intricata, sconcertante e senza precedenti che attanaglia l’intera società umana, senza grandi distinzioni per il grado di sviluppo o per l’ordinamento polittico dei suoi vari componenti.” (v. A. P. Cento pagine per l’avvenire).

L’ideologia del progresso e le caratteristiche del mondo ricco in realtà non hanno mai cessato di stimolare la ricerca dell’abbondanza, i sovra consumi di beni e l’uso dispersivo e insensato delle risorse. Governanti compiacenti si sono affermati e succeduti l’un l’altro disattendendo all’equa distribuzione dei beni e della qualità della vita.

Di conseguenza, la filosofia consumista ha finito col spegnere ogni speranza di cambiamento ostacolando ogni tentativo di sviluppo umano, incentivando al contrario i consumi e l’ingannevole idea di progresso che già a quel tempo mostrava le sue radici nel decadimento morale delle popolazioni più abbienti.

Ancora oggi la disparità dei consumi tra ricchi e poveri è in continuo aumento.

I paesi ricchi consumano 10 volte più materie prime dei paesi poveri. Il 10% dei più ricchi della popolazione utilizza 187 volte più energie carburanti del 10% dei consumatori più poveri.

Nell’industria zootecnica le differenze non sono diverse. I paesi ricchi alimentano il loro parco bestiame con una quantità di cereali maggiore di quella consumata come cibo dalla enorme popolazione povera del mondo non in grado di soddisfare le più elementari necessità vitali.

In Brasile oltre il 60% delle terre deforestate sono destinata al pascolo e oltre il 30 delle terre coltivare sono utilizzate per produrre mangimi per il bestiame.

In Europa il 60% dei cereali coltivati servono ad alimentare il bestiame e il 23% acqua potabile serve al bestiame.

Si aggiungano ancora i troppi avanzi alimentari che finiscono nella pattumiera, uno spreco insopportabile dal momento che sempre più popolazioni sono alla ricerca disperata di alimenti e motivo di instabilità politica e rivolte. Oltretutto le disuguaglianze economiche sono incompatibili con l’ordine sociale, procurano malattie nel mondo povero per insufficiente nutrizione e nel mondo ricco per gli eccessi.

La lotta dei poveri per la vita è la vergogna dei ricchi. Sono questi i responsabili  del comportamento distruttivo dell’uomo, delle tristi scene migratorie, dei soprusi e delle guerre nel mondo.

L’arroganza dell’uomo non riesce a progettare alcun futuro. L’uomo non ha più futuro e per questo è infelice.

Le parole di Valéry Giscard d’Estaing (1974), pronunciate dopo la sua elezione a Presidente della Repubblica francese sono attualissime: “Il mondo è infelice; è infelice perché non sa dove va e perché intuisce che, se lo sapesse, sarebbe per scoprire che va verso la catastrofe”.

La giovane Greta Thunberg sulle tante parole dei politici è più semplice ed esplicita definendole solo delle inutili e sterili bla-bla-bla. Al momento necessitano altre coscienze, oneste, ricche di nuove i dee per preparare (se ancora possibile) un futuro. Espropriare i giovani del loro diritto di rappresentanza è un ulteriore insulto dell’arroganza politica.

armidochiomento@libero.it