Il cibo: arte, scienza e cultura
Pellegrino Artusi, gastronomo e scrittore, ha titolato il suo libro di ricette, notizie e aneddoti “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”. Che la cucina sia un’arte non c’è alcun dubbio. I cuochi in genere tendono a rimanere fedeli alle loro tradizioni gastronomiche, ai procedimenti che esige la buona cucina, ma quando preparano le loro vivande aggiungono sempre un tocco personale che nobilita e rende più appetitosa la pietanza. Lo stesso Artusi si domanda: “Perché quel che soddisfa gli altri sensi, pittura, musica, ecc., si dice arte, si ritiene cosa nobile, e ignobile invece quel che soddisfa il gusto? Perché chi gode vedendo un bel quadro o sentendo una bella sinfonia è reputato superiore a chi gode mangiando un’eccellente vivanda?[…] Non vergogniamoci di mangiare il meglio che si può e ridiamo il suo posto anche alla gastronomia.”
L’entusiasmo e il piacere della buona cucina col passare del tempo non è mai venuto meno, anzi. Oggi i mezzi di informazione ci propongono al riguardo programmi d’ogni sorta, ma che hanno a che fare più con la ghiottoneria o la pappatoria direbbe l’Artusi. I canali televisivi sono saturi di rubriche culinarie gestite da chef, maestri di cucina, dilettanti, concorrenti che rendono i loro programmi interessanti e piacevoli, ma alcuni anche disgustosi, obbrobriosi e irritanti.
Indubbiamente la cucina e il mangiar bene hanno a che fare con l’arte e la scienza, ma anche con la decenza e la stupidità.
Senza scostarsi troppo dagli intendimenti dell’Artusi (scienza e arte) il mangiare ha a che vedere soprattutto con la nutrizione e, dunque, la salute. Come il falegname conosce la bellezza della sua arte povera così l’addetto in cucina conosce modi semplici e sani per preparare pasti altrettanto gustosi e appaganti. Caso mai alla conoscenza soccorre, poco o tanto, la natura o la naturale tendenza che ognuno di noi ha quando deve calmare le smanie dell’appetito o i morsi della fame.
Prima della scoperta del fuoco l’uomo era sicuramente frugivoro, i suoi cibi erano rappresentati da bacche, frutta, verdure, radici, miele, funghi, nocciole, fiori commestibili, qualche graminacee e poco altro. Sono in molti invece a sostenere che in origine la caccia sia stata la fonte primaria di cibo per l’uomo. Molti documenti lo confermano, ma nel paleolitico quando ancora il fuoco non era conosciuto, la donna più vicina alla natura e al mondo delle piante, provvedeva alla raccolta del cibo necessario al sostentamento di tutta la famiglia. La caccia per sua natura è sempre stata un’attività incostante, fortunosa, priva di certezze. L’uomo cacciatore dopo aver girovagato per giorni, al rientro il suo nucleo familiare aveva già mangiato.
È evidente che la carne era considerata un cibo occasionale, quel qualcosa in più che garantiva il completo fabbisogno alimentare della famiglia.
Con la scoperta del fuoco l’uomo ha cambiato i modi di vivere. Inizia a ripararsi dal freddo e cambia i comportamenti individuali, sociali, economici, morali, religiosi. Giusto pensare dunque al notevole contributo che la scoperta del fuoco ha portato alla conoscenza e alla cultura umana.
Cucinare diventa il passaggio dalla natura alla cultura, dal cibo semplice, crudo come offerto dalla natura al cibo cotto elaborato dall’estro della fantasia umana.
Da questo momento il cibo non è solo nutrimento, ma anche un potenziale apporto di valori: benessere, vigore, sessualità, ricchezza, comunicazione, tradizione; lo sostiene Claude Lévi-Strauss, antropologo esperto di costumi dei popoli primitivi. In numerosi racconti, leggende, cerimonie e nei miti indigeni del Brasile lo studioso individua proprio nella cottura del cibo “l’elemento fondante dell’ordine culturale, il mediatore del passaggio di una società dallo stadio naturale a quello delle regole sociali” (Il crudo e il cotto, p. III – Aria finale: il fuoco e l’acqua).
Immagini chiare e rappresentative del cibo si hanno dai banchetti imperiali e medioevali. Si narra che nella Cina del Duecento un banchetto poteva consistere in una quarantina di piatti di carni o pesce fritti, cotti alla griglia o arrostiti, frutta, dolci, una ventina di piatti di verdure e circa la metà di riso.
Nell’antichità il potente doveva mangiare molto e soprattutto carne. Mangiare poco era segno di debolezza, di umiliazione o emarginazione. Solo i monaci mangiavano in modo parco e frugale, sceglievano di mangiare poco e praticavano i digiuni per esaltare maggiormente la vita dello spirito.
Se il condottiero e il guerriero assegnavano al consumo di carne il simbolo della forza, per i monaci e i canonici il consumo di carne conservava legami con la materia, la corporeità, poco o nulla era lasciato alla vita dello spirito. Da una parte c’era l’amore per il cibo cotto, gli umori umidi-caldi, dall’altra la tendenza verso il crudo e gli umori freddi.
Fin dalle epoche più remote i modi di mangiare si sono orientati verso queste due opposte tendenze: alimentazione cotta a base di carne e dieta vegetariana a base di ortaggi, frutta e cereali.
Col passare dei tempi, attraverso le trasmissioni generazionali, la qualità del cibo lascia i suoi segni particolarmente nel volto modificando i tratti fisionomici e quelli caratteriali. In pratica, traspare la calma e la mitezza dell’erbivoro oppure l’irruenza, la suscettibilità e il temperamento aggressivo dell’animale predatore.
Verso l’epoca delle pappe molli
La possibilità di cuocere il cibo ha dato il via alle diverse cucine che compongono i diversi mondi gastronomici. La gastronomia non è un semplice modo di operare, ma un insieme di scuole di orientamenti diversi: etnici, regionali, carnivore, vegetariane, vegane, salutiste e crudiste.
L’antica teoria umorale ha lasciato posto all’arte della preparazione del pasto. Non sono solo l’eccesso umorale o salutistico o altre ragioni legate all’educazione personale o alla tradizione a suggerire cosa e come mangiare. Oggi attraverso il cibo, si affermano anche altri valori: stato sociale, modernità, immagini, apparenza intellettuale e fisica.
Per queste ragioni si è assistito e tutt’ora continuano a proliferare diete e proposte di alimenti, bibite energizzanti, snellenti e rassodanti consigliate o raccomandate da dietologi, nutrizionisti, personal trainer, aziende produttrici, medici e naturopati. Non meraviglia dunque il palestrato che ingurgita contemporaneamente l’albume di una decina di uova, etti di prosciutto, carni, formaggi, pane e pasta. Il desiderio di possedere un corpo muscoloso, sodo e possente vince ogni cosa. Ci sono attività che vivono e prosperano su queste ambizioni.
C’è però anche chi per rispetto e amore ha scelto di avvicinare la propria vita a quella dell’animale e quella dell’animale alla sua. Queste persone spinte dal particolare amore per gli animali sono passate senza tanto esitare dal comportamento alimentare carnivoro a quello vegano eliminando dalla dieta con scrupolosità tutto il cibo animale e qualunque altra sostanza o cosa dalla quale possa derivare (stuoie, cuoio, scarpe, farmaci, miele).
D’altra parte la condizione animale è stata elevata e inserita in ambito sociale. Oggi l’animale è poco più di un oggetto-giocattolo da accudire, coccolare e con il quale gesticolare. Il cane e il gatto hanno ormai conquistato la loro dignità con toelette, coperture per il riparo dal freddo e abbellimento, nastrini e fiocchetti vezzosi civettuoli, “bag” per il trasporto e passeggini per il riparo dalla pioggia, dal freddo o da altro genere d’intemperie.
L’alimentazione del piccolo animale non ha seguito le nuove proposte del suo tutore; nonostante le tentazioni alle quali è sottoposto, l’animale sa riconoscere molto prima di quanto sappiamo fare noi quali sono i suoi cibi e quali i reali fabbisogni.
Il comportamento alimentare dell’uomo invece resta sempre volto all’innovazione, alla ricerca continua di verità sperimentando l’efficacia con la propria salute o la sua precaria incolumità
Oggi è il momento del cibo vegetale: crudo, cotto o ricotto non importa purché rigorosamente bio e vegetale.
Se il tempo non permette una a pasta e fagioli (naturalmente senza cotica) o una ribollita toscana ci sono polpettine vegetali, muffins, tartine, plum-cake e strudel sempre e tutto rigorosamente vegetale, anzi vegano.
Purtroppo è anche vero che con la cottura e l’elaborazione del cibo si perdono molte delle sostanze preziose che lo compongono, ma quel che è peggio è l’abbandono della masticazione. Con l’abitudine alle pappe molli si trascura la triturazione e masticazione del cibo, si perdono il gusto e il sapore e si compromette la digestione./A. Chiomento
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