Il mondo è cambiato. Ormai nessuno può sostenere il contrario. L’intera nostra civiltà percepisce che il cambiamento di cui tanto si è parlato in questi ultimi decenni è già avvenuto. L’aria che si respira, la terra e l’acqua che ci alimentano, il Sole che riscalda sono alterati.
C’era una volta un mondo: potrebbe essere questo l’inizio d’una storiella simile a quelle che ci raccontava la mamma quando eravamo bambini per addormentarci; potrebbe, se non fosse per la tristezza che vive in noi.
L’uomo ha dormito abbastanza, fin troppo. Ora sembra essersi svegliato da un lungo sonno, ma ancora a veder bene sta sonnecchiando, non riesce a intravvedere o comprendere ciò che l’aspetta.
Il clima è cambiato, le stagioni si confondono l’una con l’altra. L’aria in alcune aree del pianeta non è più respirabile, i fiumi e i laghi si stanno prosciugando, le piante bruciano. La terra, il cibo, l’ambiente, la natura, tutto è malato.
Eppure l’homo sapiens che sa usare la ragione e sa andare sulla luna, il costruttore della scienza della quale si vanta e si sente protetto non riesce ancora a capire che lui stesso è stato l’artefice, il protagonista di questo disastroso cambiamento. Per dar vita e rendere grande la scienza ha sfruttato ogni cosa, fino a saccheggiare la natura in ogni sua parte, depredare risorse ovunque.
Non sono bastati i tanti antropologi, ecologi, filosofi, critici e acuti osservatori della realtà a mettere in guardia la scienza dai rischi ai quali può incorrere quando il “progresso” diventa inarrestabile e incontrollato.
Nessuna critica è valsa a far capire che il vero progresso non è quello delle cose o delle conquiste, ma quello che esalta e fortifica i valori dello spirito umano. Il progresso si ha nella tutela e salvaguardia di ciò che necessita alla vita di tutti gli organismi animati e inanimati.
La scienza ha sempre avuto nei confronti della natura un rapporto dominante. La natura è sempre stata considerata un bene da adoperare a piacimento, da sfruttare dove e quanto necessita. Con questi criteri sono state abbattute piante, prodotte deforestazioni, modificati corsi d’acqua, smottamenti, cementificazioni, centrali nucleari, trasformazioni di villaggi e zone agricole in centri turistici e molti altri dissesti ambientali.
Quand’ero ragazzo i film che più mi attraevano erano quelli western, film che raccontavano la vita e gli assedi agli indiani d’America da parte delle truppe governative impegnate a salvaguardare gli interessi economici dei colonizzatori bianchi trasformando quei terreni di pace in centri produttivi di beni e di attività commerciali. Non so perché ma i ragazzi tendono a parteggiare sempre per il più forte. Così era per noi. All’arrivo dei nostri era un momento in cui esplodeva tutta l’esuberanza giovanile. Si gioiva della sconfitta subita dal pacifico pellerossa. Purtroppo solo pochi di noi riuscivano a comprendere da quale parte stavano i veri cattivi.
Nel 1860 Rupert Sheldrake, filosofo e biochimico inglese fece notare che quando la ferrovia arrivò nell’ovest dell’America, “tra il 1872 e il 1874 furono uccisi oltre tre milioni di bufali. Nel 1880, benché nessuno riuscisse a crederci, non c’erano quasi più bufali”. Tutto quel bestiame è servito ai colonizzatori per fornire le loro fabbriche di colla, fertilizzanti e l’industria alimentare (La rinascita della natura, P. 61).
Oggi non è molto diverso. In Brasile i bufali sono sostituiti dagli zebù per fare carne da bresaola “tipica” della Valtellina nostrana. È clamoroso il fatto, rilevato da pochi, che per il fabbisogno alimentare e i pascoli necessari all’alimentazione di quel bestiame sia stata deforestata una parte della zona amazzonica.
Uomo e natura
Gli indiani d’America, sterminati dalle crudeli invasioni dell’uomo bianco, sono stati per il mondo l’esempio vivente dei veri legami tra l’uomo e la natura.
In quelle zone tanto martoriate non c’era indiano d’America che non riconoscesse nelle piante, animali, e manifestazioni naturali, i segni dell’Energia immateriale, che coordina e dirige ogni cosa. Nei confronti di questa egli nutriva un profondo rispetto, aveva atteggiamenti di sottomissione, di umiltà e devozione.
Per l’uomo semplice e umile ogni cosa che vive e collabora alla vita è sacra perché vi riconosce un’anima. La terra, il bosco, il cielo, l’acqua del fiume, la formica e tutto ciò che è animato possiede nel suo profondo l’Energia della vita, il Grande Spirito, il Dio Supremo che sta in ogni cosa, nel quale trova forza la persona che si sente parte del Creato.
Un tempo questa sacralità si riconosceva in tutta la natura. Ogni cosa costituiva un simbolo del mondo spirituale. Per gli indiani d’America la natura era religione, il tempio dello spirito e per questo ogni sua parte andava rispettata, conservata con cura e devozione.
Da lungo tempo ormai la nostra civiltà si è allontanata dalla natura. Dal mondo dell’industria, del lavoro e degli affari; la natura è intesa come semplice materia da sfruttare per gli interessi economici societari, politici o individuali.
La natura che conosce l’uomo moderno progressista è quella che usa per soddisfare le sue convenienze e i suoi capricci. Non ne conosce altre. L’approccio che ha con le piante, gli animali e l’ambiente in genere è di tipo meccanicistico, come tutto fosse privo di vita, destinato ad uso e consumo; l’esatto opposto di quanto considera invece la piccola schiera di vitalisti rimasta che attribuisce alla natura il mantenimento della vita umana e ambientale. In definitiva, la strada percorsa dall’uomo moderno civilizzato è la stessa compiuta dai conquistatori scientifici, dagli speculatori e dagli uomini d’affari.
La natura che ha dato all’uomo i mezzi di sviluppo economico, oggi non ha più il suo fascino originario, il rispetto e la sacralità che le apparteneva. L’idea attuale che si ha di natura interessa e appartiene semplicemente al consumo individuale, collettivo e al mondo commerciale.
La natura dal trascendente è passata al materialismo scientifico che per primo ha saputo approfittare dell’approccio meccanicistico per lo sviluppo delle tecnologie industriali.
Uno dei maggiori esempi è dato dalla teoria della evoluzione darwiniana che assegna a una natura meccanicistica ogni sorgente di vita, il principio supremo, grazie alla sua fertilità e forza creatrice.
Anche i sentimenti umani sembrano essersi materializzati riconoscendo nelle conquiste della scienza i segni della capacità e della perfezione, l’Essere al quale si deve rispetto, obbedienza e riconoscenza.
La Scienza è diventata il nuovo Dio, la divinità alla quale tutto è possibile, che acconsente e condanna. All’individuo spetta obbedienza. Ci saranno cibi e farmaci prodotti dall’industria che l’indifeso cittadino dovrà obbligatoriamente accettare, comportamenti da assumere e a cui attendere con scrupolosità; la divina scienza saprà orientare anche le nostre letture, gli ascolti, i mezzi d’informazione e ogni altra attività di lavoro o svago. Già oggi la scienza con gli obblighi sanitari, la politica imponendo norme e sanzioni di convenienza e la religione con atteggiamenti di approvazione e sostegno al potere costituito, mostrano i loro orientamenti.
L’Energia vitale che possiedono e utilizzano gli organismi viventi non si spiega con la materia, né si quantifica o si misura e dunque, non appartiene alla scienza. Ciononostante le migrazioni degli uccelli, il vitalismo dei bruchi, le gallerie delle talpe e delle termiti, per quanto evidenti inducono a riflessione. Le forze che determinano questi comportamenti pur non essendo fisicamente palesi ci sono, insite negli stessi organismi, sono parte delle loro espressioni, della loro coscienza individuale.
Conclusione
La sostituzione della natura con la razionalità umana non ha prodotto solo disastri all’ambiente sul piano ecologico, sanitario, buchi neri, deforestazioni, smottamenti di terreni, chimica nelle coltivazioni e negli alimenti, ma ha causato anche e soprattutto l’isolamento morale dell’uomo.
L’uomo moderno nasce, sviluppa ed è educato in un ambiente innaturale, in solitudine, lontano dalla natura e dal sacro. Cresce e vive in un ambiente malato, fragile e indifeso.
Chi conserva buoni rapporti con la natura non può cedere alle lusinghe della scienza, alle sue attrattive, al suo modo d’indagare i fenomeni, alle sue valutazioni e deduzioni. L’essere umano ha bisogno di natura vera. Per il suo sviluppo necessita di valori che gli diano un senso di sicurezza e di appartenenza. Scrive E. Fromm: “D’altro canto – l’uomo – può vivere in mezzo alla gente, e tuttavia esser sopraffatto da un totale sentimento di isolamento, il cui risultato, se supera un certo limite, è lo stato di follia rappresentato dai disturbi schizofrenici. Possiamo chiamare solitudine morale questa mancanza di rapporto con valori, simboli, modelli; e affermare che la solitudine morale è intollerabile quanto la solitudine fisica, o piuttosto che la solitudine fisica, diventa intollerabile solo se indica anche la solitudine morale. […]
L’altro modo – per evitare la solitudine – è quello del rapporto spontaneo con l’uomo e la natura, un rapporto che collega l’individuo al mondo senza eliminarne l’individualità” (E.F. – Fuga dalla libertà, P. 26 e 35).
Con le sue idee di progresso e di padrone del mondo, l’uomo si è condannato alla triste solitudine che si legge nei famosi tre versi di Salvatore Quasimodo:
“Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.”
armidochiomento@libero.it